In genere quando i giovani chiedono un consiglio su una scelta relativa al lavoro o a come costruirsi un profilo competitivo, la risposta che ricevono più spesso dai colleghi senior che, di conseguenza, dovrebbero essere diventati più saggi proprio in virtù della loro esperienza è: "il lavoro perfetto non esiste, quindi se ne hai trovato uno che, tutto sommato, non è male, meglio che te lo tieni stretto perché rischiando potresti finire col trovare di peggio".
{adselite}
E se invece al di là della nostra scrivania esistesse qualcosa di meglio? Due economisti americani, Martin Gervais e Nir Jaimovich, e due canadesi, Henry Siu e Yaniv Yedid-Levi, hanno cercato di dare una risposta scientifica a questa domanda, scoprendo che, nella maggior parte dei casi, le carriere più brillanti le fanno proprio quei giovani che, tra i 20 e i 30 anni, sperimentano di più.L'importanza della flessibilità
Crisi economica a parte, quando magari il coraggio di abbandonare una posizione in assenza di reali alternative manca un po' a tutti, oggi più di ieri per avere successo sul posto di lavoro bisogna dimostrare di essere flessibili. Come si può riuscire a convincere un manager nel pieno della sua carriera, che magari per ottenere quella posizione ha cambiato più di un lavoro, ha fatto esperienze in diverse città, in diversi settori e, perché no, anche all'estero, se nel nostro background non c'è nulla di più di un contratto a tempo determinato?A prescindere da quanto grande e prestigiosa possa essere l'azienda in cui lavoriamo (anche se strutture più grandi di solito garantiscono un maggiore turnover al loro interno), una sola esperienza non ci rende sufficientemente competitivi.
Mettersi costantemente in gioco, per il ruolo ricoperto, per il mercato in cui ci si muove, per il contesto lavorativo in cui ci si trova ad interagire, questo sì che può renderci flessibili. A conferma di questo, i quattro economisti americani si sono resi conto come soddisfazione sul lavoro e stipendi siano direttamente proporzionali al grado di "job hopping" degli anni immediatamente successivi al diploma. Un periodo in cui, è bene non dimenticarlo, il grado di adattabilità dei singoli e il loro desiderio di imparare è maggiore.
A chi chiedere consiglio, quindi, se la maggior parte dei lavoratori "più adulti" tende a ritenere poco conveniente un cambiamento in corsa? Oggi, sempre più aziende si affidano ad agenzie di lavoro o a cacciatori di teste per selezionare i candidati migliori per le posizioni che devono coprire. Ecco perché potrebbe non essere una cattiva idea affidarsi alla loro esperienza per individuare le opportunità migliori.
Tra l'altro, non va dimenticato che tante aziende sostengono di non essere interessate ad assumere personale che, dopo troppo poco tempo, potrebbe lasciarli, perchè considerano continui periodi di formazione e di affiancamento uno spreco. E per questa ragione potrebbero essere indotti a preferire un neo-laureato a un laureato con due o tre anni di esperienza in un altro comparto.
Ebbene, forse le agenzie di lavoro potrebbero fare qualcosa per aiutare datori di lavoro e candidati a superare anche questi pregiudizi. Spiegando ai primi che un candidato che vuole rimettersi in gioco porta con se' un valore aggiunto di cui l'azienda potrebbe beneficiare, soprattutto quando si è alla ricerca di un collega più qualificato e motivato della media, e ai secondi che il job hopping è efficace solo se non è troppo frequente.
Mettersi costantemente in gioco, per il ruolo ricoperto, per il mercato in cui ci si muove, per il contesto lavorativo in cui ci si trova ad interagire, questo sì che può renderci flessibili. A conferma di questo, i quattro economisti americani si sono resi conto come soddisfazione sul lavoro e stipendi siano direttamente proporzionali al grado di "job hopping" degli anni immediatamente successivi al diploma. Un periodo in cui, è bene non dimenticarlo, il grado di adattabilità dei singoli e il loro desiderio di imparare è maggiore.
Sperimentare è utile, ma attenti a non esagerare
Attenzione però: cercare un nuovo lavoro per porsi una nuova sfida da superare non deve essere fatto in maniera casuale. A vent'anni (quasi) nessuno è in grado di definire un progetto di carriera di lungo periodo, ma tutti sanno distinguere tra un'opportunità in grado di arricchire il proprio profilo e una che, di fatto, comporterebbe uno o più passi indietro. Sperimentare, quindi, va bene, ma bisogna farlo con giudizio.A chi chiedere consiglio, quindi, se la maggior parte dei lavoratori "più adulti" tende a ritenere poco conveniente un cambiamento in corsa? Oggi, sempre più aziende si affidano ad agenzie di lavoro o a cacciatori di teste per selezionare i candidati migliori per le posizioni che devono coprire. Ecco perché potrebbe non essere una cattiva idea affidarsi alla loro esperienza per individuare le opportunità migliori.
Tra l'altro, non va dimenticato che tante aziende sostengono di non essere interessate ad assumere personale che, dopo troppo poco tempo, potrebbe lasciarli, perchè considerano continui periodi di formazione e di affiancamento uno spreco. E per questa ragione potrebbero essere indotti a preferire un neo-laureato a un laureato con due o tre anni di esperienza in un altro comparto.
Ebbene, forse le agenzie di lavoro potrebbero fare qualcosa per aiutare datori di lavoro e candidati a superare anche questi pregiudizi. Spiegando ai primi che un candidato che vuole rimettersi in gioco porta con se' un valore aggiunto di cui l'azienda potrebbe beneficiare, soprattutto quando si è alla ricerca di un collega più qualificato e motivato della media, e ai secondi che il job hopping è efficace solo se non è troppo frequente.