Mentire sul CV conviene?
Ci sono babysitter che hanno inserito una ventennale esperienza come tate di bebè vip e ci sono figli che hanno spacciato per propria la carriera paterna. C’è stato chi, avendo poca dimestichezza con le date, a 32 anni ha presentato un curriculum con 25 anni di esperienza, fino ad arrivare al caso limite di un “supervisore di costruzione” che aveva monitorato la fabbricazione di una cuccia per cani.{adselite}
Secondo la ricerca di Careerbuilder, le falsificazioni più comuni riguardano il sovradimensionamento delle proprie competenze (57%) ed esperienze pregresse (55%), delle date e delle società per cui si è lavorato (26%).È soprattutto la crisi a spingere al “falso”: si mente sulle date per mascherare i periodi di inattività e si mente sulle competenze “gonfiando” gli skill quando si gareggia per una posizione di prestigio o omettendo gli skill quando ci si accontenta di un’offerta di lavoro che rappresenta un passo indietro per la propria carriera.
Negli Stati Uniti c’è persino chi ha pagato col carcere le false dichiarazioni nel proprio curriculum: è successo a Rhiannon Mackay che nel 2008 è stata smascherata dal suo capo e portata in tribunale. La donna aveva dichiarato di essere in possesso di requisiti poi rivelatisi falsi, il tutto con la collaborazione del marito. Persa la causa, la donna ha dovuto scontare sei mesi di carcere.
E in Italia?
Il nostro codice penale non definisce il curriculum e nemmeno la scrittura privata (presente, però, nel codice civile) consentendo differenti interpretazioni quando si parla di curricula falsificati. Ma in alcuni casi si può finire nel penale, per esempio se il curriculum vitae – paragonabile alla scrittura privata ovvero a un atto privato redatto senza l’assistenza del pubblico ufficiale – è destinato alla Pubblica Amministrazione.Se il curriculum vale come autocertificazione, per esempio all’interno della procedura di partecipazione a un concorso pubblico, in caso di falsificazione potrebbe ricorrere l’ipotesi all’articolo 483 del codice penale che configura la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Secondo l’articolo 483 è prevista, in caso di condanna, una reclusione fino a due anni.
Una ricerca compiuta da Randstadt nel 2013 aveva evidenziato anche in quali ambiti avvenissero le maggiori falsificazioni: se l’esagerazione sulle competenze informatiche resta genericamente contenuta (3%), l’8% abbonda con quelle che sono le proprie esperienze professionali e il 13% con le proprie competenze nelle lingue straniere, mentre solamente il 2% mente sui voti di laurea o diploma.
Ma la crisi ha spinto anche a “tagliare” volontariamente parti del curriculum che renderebbero troppo qualificato il profilo. Il timore di chi assume in posizioni più accessibili e di far provare qualcuno che interpreterà la propria professione come un ripiego e si metterà costantemente alla ricerca di una nuova professione, scappando alla prima opportunità. In tempi di crisi, insomma, non si mente solo per eccesso, ma anche per difetto.