Come spiega Beatrice Roitti, socia Gap Year e Associate Partner di Intermedia Selection: In Italia abbiamo una propensione all'estero ancora piuttosto bassa, se pensiamo per esempio ai casi di Germania, Scandinavia, la stessa Francia. Il gap year permette di andare oltre questo limite.
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Gap Year parla di “significativi miglioramenti” in criteri più generali come adattabilità (56%), capacità di comunicazione (53%), capacità di lavorare in team (35%). Roitti si concentra su due skills: perfezionamento delle lingue straniere e una versatilità maggiore nell'approccio al lavoro: Il primo punto è il perfezionamento della lingua inglese, perché quasi sempre lo si utilizza in circostanze quotidiane e meno ingessate del linguaggio tecnico.E parlare un inglese tecnico è spesso più facile che parlare un inglese quotidiano, dove ti devi esporre ad argomentazioni diverse e variabili. E la adattabilità? È una caratteristica che le aziende verificano con attenzione – sottolinea Roitti - perché più il giovane si mostra adattabile, più si armonizza con il “microambiente” dell'azienda e può essere ritenuto un inserimento di successo».
E qui si torna alle origini: l'internazionalità. Il 61% degli intervistati da Gap Year si dice “molto d'accordo” con l'ipotesi di ulteriori esperienze estere. L'età più adatta? Varia. La forbice ideale potrebbe ritagliarsi tra i 19 e i 25 anni, nel periodo canonico per lo svolgimento degli studi universitari. I gap year più efficaci si svolgono nei mesi di stallo tra la laurea triennale (3 anni) e l'inizio dei corsi magistrali o di eventuali esperienze di lavoro o perfezionamento.
Il consiglio di Roitti, però, è di non bruciare le tappe: più si è maturi, più si guadagna consapevolezza in vista di un colloquio lavorativo. La consapevolezza del concetto di internazionalità è una caratteristica che si guarda di sicuro, soprattutto nei giovani – spiega Roitti - Forse se si fa un'esperienza troppo presto la si vive con più leggerezza e non si riesce a monetizzare, meglio affrontarla durante gli ultimi anni di studi per avere il tempo di essere maturi, non solo all'anagrafe.
E qui si torna alle origini: l'internazionalità. Il 61% degli intervistati da Gap Year si dice “molto d'accordo” con l'ipotesi di ulteriori esperienze estere. L'età più adatta? Varia. La forbice ideale potrebbe ritagliarsi tra i 19 e i 25 anni, nel periodo canonico per lo svolgimento degli studi universitari. I gap year più efficaci si svolgono nei mesi di stallo tra la laurea triennale (3 anni) e l'inizio dei corsi magistrali o di eventuali esperienze di lavoro o perfezionamento.
Il consiglio di Roitti, però, è di non bruciare le tappe: più si è maturi, più si guadagna consapevolezza in vista di un colloquio lavorativo. La consapevolezza del concetto di internazionalità è una caratteristica che si guarda di sicuro, soprattutto nei giovani – spiega Roitti - Forse se si fa un'esperienza troppo presto la si vive con più leggerezza e non si riesce a monetizzare, meglio affrontarla durante gli ultimi anni di studi per avere il tempo di essere maturi, non solo all'anagrafe.