impatto commissioni sui rendimenti come difendere portafoglio

La valutazione delle commissioni è un aspetto spesso sottovalutato quando si analizza la redditività di un investimento. Molti risparmiatori si concentrano solo sulle performance storiche di un fondo o di un titolo, oppure sulle potenziali prospettive future di un’azione. Tuttavia, i costi – in termini di commissioni, spese di gestione e oneri amministrativi – possono erodere in modo significativo il rendimento netto ottenuto dall’investitore nel lungo periodo. Comprendere come le commissioni influiscano sui rendimenti è cruciale per costruire un portafoglio efficiente e ottimizzare i risultati, soprattutto in un contesto di tassi di interesse bassi e mercati volatili.

Nei paragrafi che seguono, analizzeremo quali tipi di commissioni gravano sui vari strumenti finanziari, come questi costi si accumulano nel tempo e quali strategie è possibile adottare per minimizzare il loro impatto.

 



Le diverse tipologie di commissioni

Nel mondo degli investimenti, le commissioni assumono forme differenti a seconda dello strumento o del servizio acquistato. È importante distinguerle per capire dove si nascondono le maggiori voci di costo:
  • Commissioni di sottoscrizione o entry fees: si pagano inizialmente, all’atto di acquistare quote di un fondo comune o di un altro prodotto di risparmio gestito. Possono essere una percentuale dell’importo investito, riducendo già in partenza il capitale effettivamente investito.
  • Commissioni di gestione: rappresentano il cuore dei costi nella maggior parte dei fondi comuni, SICAV, SICAF e altri prodotti simili. Vengono prelevate quotidianamente (o con cadenza periodica) dal patrimonio del fondo e non sono direttamente visibili sul prospetto del conto, poiché incidono sul valore della quota.
  • Commissioni di performance: alcuni fondi applicano una commissione aggiuntiva se i risultati del portafoglio superano un determinato benchmark o una certa soglia di rendimento. Questa formula incentiva il gestore a ottenere risultati positivi, ma può anche penalizzare l’investitore se la metodologia di calcolo non è trasparente o se si applicano clausole di performance poco eque.
  • Commissioni di exit o di riscatto: sono i costi addebitati quando si disinveste prima di un termine minimo stabilito, o semplicemente al momento del disinvestimento finale. Possono essere decrescenti nel tempo: più si tiene a lungo il prodotto, minore è la penale.
  • Commissioni di consulenza o parcella: se ci si avvale di un consulente finanziario indipendente (fee-only), si sostiene una parcella fissa o variabile legata al valore del portafoglio o al tempo di consulenza. Se invece ci si appoggia a una banca o a un consulente non indipendente, potrebbero esserci retrocessioni e incentivi impliciti.

Perché le commissioni pesano sui rendimenti nel lungo termine

È fondamentale notare che molti costi – in particolare le commissioni di gestione – vengono detratte costantemente dal patrimonio investito, influenzando il fenomeno della capitalizzazione composta. Anche un costo apparentemente “basso”, come l’1% annuo, può avere un impatto marcato sui rendimenti quando accumulato su un orizzonte di 10, 20 o più anni.

Immaginiamo due portafogli che generino il medesimo rendimento lordo annuale del 6%: se uno dei due paga costi complessivi annui dell’1%, mentre l’altro paga costi del 2%, la differenza dopo un decennio può risultare notevole. La potenza della capitalizzazione fa sì che il portafoglio con costi inferiori accumuli più rendimento netto, aumentando la distanza mano a mano che gli anni passano.

L’importanza del TER e del TAEG

Per valutare correttamente l’impatto delle commissioni e delle spese, esistono alcuni indicatori utili:

  • TER (Total Expense Ratio): è un dato espresso in percentuale che indica l’incidenza delle spese totali (commissioni di gestione, oneri amministrativi, ecc.) su un prodotto come un fondo comune o un ETF. Pur non essendo inclusa ogni singola voce, il TER rappresenta una metrica chiave per confrontare due fondi con politiche di investimento simili, in quanto riflette l’importo di costi “ricorrenti” che il fondo preleva dal patrimonio dei sottoscrittori.
  • TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale): si utilizza per strumenti di credito, come finanziamenti o mutui, ma anche per alcuni prodotti finanziari che presentano costi di sottoscrizione o di gestione. Indica in modo più completo il costo effettivo di un’operazione, comprendendo interessi, commissioni e oneri fiscali, consentendo un confronto imparziale tra varie proposte.

Strategie per ridurre l’impatto dei costi

Gli investitori hanno diverse leve per contenere il peso delle commissioni sul lungo periodo:

  • Valutare soluzioni a basso costo: gli ETF, ad esempio, offrono spesso commissioni di gestione più contenute rispetto ai fondi tradizionali a gestione attiva. Anche nel mondo dei fondi comuni è possibile trovare proposte competitive in termini di TER, specialmente tra i fondi passivi o indicizzati.
  • Negoziare le commissioni di ingresso e di uscita: molte banche o reti di consulenza sono disposte a rivedere i costi di sottoscrizione e di rimborso, soprattutto per investimenti di entità significativa o in presenza di una relazione consolidata con il cliente.
  • Privilegiare consulenti indipendenti: se si desidera un servizio di consulenza basato esclusivamente sul pagamento di una parcella (fee-only) e privo di retrocessioni, si ottiene maggiore trasparenza in merito ai costi e si riduce il rischio di conflitti di interesse.
  • Adottare un orizzonte di lungo termine: investire con un piano di medio-lungo periodo permette di ammortizzare eventuali commissioni di ingresso e ridurre l’impatto delle oscillazioni di breve, oltre a sfruttare la capitalizzazione composta con rendimenti netti superiori.
  • Monitorare regolarmente i costi: controllare almeno una volta all’anno il rendiconto del proprio portafoglio aiuta a scoprire l’incidenza effettiva delle commissioni e a valutare la convenienza di sostituire un prodotto troppo oneroso.

Case study: differenza tra fondi attivi e passivi

Un esempio classico che mette in luce il ruolo delle commissioni è il confronto tra fondi comuni gestiti attivamente e fondi passivi (ETF o index fund). Mentre i primi cercano di battere il mercato grazie alle abilità del gestore, i secondi si limitano a replicare un indice. Il rovescio della medaglia è che i fondi attivi presentano solitamente commissioni di gestione più elevate (anche superiori al 2% annuo), mentre i fondi passivi possono avere un TER molto più basso, talvolta inferiore allo 0,20% annuo.

Se la gestione attiva non riesce a generare un extrarendimento sufficiente a coprire la differenza di costi, un fondo passivo più economico finisce per offrire un rendimento netto superiore. In altri termini, il dibattito tra attivo e passivo si concentra spesso proprio sulla capacità dei gestori di giustificare il loro costo aggiuntivo in termini di performance.

Per comprendere in modo tangibile l’impatto delle commissioni, immaginiamo di confrontare un fondo a gestione attiva con un fondo passivo (ad esempio un ETF), entrambi con lo stesso rendimento lordo annuo del 6%. Facciamo le seguenti ipotesi:

Fondo attivo: commissioni di gestione pari al 2% annuo.
  • Rendimento netto annuo = 6% (lordo) – 2% (commissioni) = 4%.
Fondo passivo (ETF): commissioni di gestione pari allo 0,2% annuo.
  • Rendimento netto annuo = 6% (lordo) – 0,2% (commissioni) = 5,8%.

Supponiamo di investire 10.000 € (PV) e di voler calcolare il valore futuro (FV) dopo 10 anni (n). Useremo la formula FV = PV * (1 + r)^n, dove r è il rendimento netto annuale (espresso in forma decimale).

  • Fondo attivo (rendimento netto = 4%):
    FV = 10.000 € * (1 + 0,04)^10 ≈ 14.802 €
  • Fondo passivo (ETF) (rendimento netto = 5,8%):
    FV = 10.000 € * (1 + 0,058)^10 V ≈ 17.580 €

La differenza fra i due investimenti, dopo 10 anni, è di circa 2.778 € (17.580 € – 14.802 €), pur avendo entrambi lo stesso rendimento lordo. Questo divario è dovuto solamente alla differenza nelle commissioni di gestione, che nel lungo periodo incide in modo significativo sul valore finale dell’investimento.

 

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